Quando
13 Novembre 2024, ore 10:00
Un attore e un’attrice dentro a due scatole grandi poco più del loro corpo. Sono Ken e Barbie nello scaffale del Toys Center. Sono uno accanto all’altra, ognuno nella propria scatola; hanno due forzati sorrisi da giocattoli, come fossero dipinti e inestirpabili. La scena è composta da un telo di nylon appeso ad un’americana e due quinte ai lati, a terra ci sarà un tappeto danza bianco: l’effetto sarà quello di una grande scatola sulla scena.
Barbie e Ken, due bambolotti creati dall’uomo a sua «immagine e somiglianza» si trovano meccanicamente costretti ad eseguire dei comportamenti stereotipati e cliché indotti dal loro “ruolo” in quanto “modelli” per bambini. I due fatalmente e involontariamente si ribelleranno a quello schema mettendo in dubbio il loro sapere surrogato e andando incontro a tutte le domande e le contraddizioni umane. La loro apparentemente superficiale conversazione, li porterà, senza che se ne rendano conto, a discutere dei massimi sistemi. È appunto questa inconsapevolezza che metterà in dubbio le loro conoscenze, delle conoscenze che sembrano anch’esse prefabbricate. È parte della loro natura di giocattoli, di simboli, non avere dubbi ma solo certezze… La comicità nasce proprio dal fatto di avere tutte le risposte, ma non sapere perché.
Pezzo per pezzo tutto il puzzle andrà sgretolandosi, lasciando presagire, in qualche silenzio, tutta la loro incerta umanità. Ken e Barbie diventano qui due Vladimiro ed Estragone sospesi in una dimensione senza tempo, intrappolati in due scatoloni della Mattel, e costretti a seguire dei comportamenti meccanizzati e stereotipati. Chi dice che Ken e Barbie debbano stare insieme? Chi dice che debbano essere sempre sorridenti e intransigenti di fronte a tutto? Che anche la loro dimensione simbolica e statuaria non possa lasciare varchi a dubbi esistenziali?
Ken e Barbie in questa storia si trovano a conversare della loro condizione di bambolotti, una condizione che è forse rappresentativa anche di noi e dei nostri tempi più di quanto non pensiamo. I due giocattoli in maniera inconsapevole e ingenua trattano di temi che riportano alla condizione di prigionia e assopimento dell’essere umano: pupazzi legati dentro una scatola, in vendita su uno scaffale… È a loro concessa una visione parziale e già predeterminata di quella che sarà la loro vita, concessa da un «potere» invisibile che li ha fagocitati.
Personalmente ci interessa mettere in scena il cortocircuito paradossale che Barbie e Ken rappresentano: loro sono modelli, e teoricamente dovrebbero comportarsi seguendo lo schema prestabilito della coppietta perfetta, ma la mancanza degli organi genitali non gli permette di farlo. Noi tutti cresciamo con questi “modelli” che inconsciamente incrementano la visione secondo cui il sesso è qualcosa di osceno e talvolta vergognoso…e nel “migliore” dei casi semplicemente non se ne parla. I protagonisti del nostro spettacolo sono mossi dall’incessante ricerca della felicità; che è vista dai due pupazzi come un assioma al quale si deve ambire, senza nemmeno sapere il perché. Il meccanismo però verrà sovvertito dai dubbi di Barbie, quando si chiederà se esiste qualcos’altro oltre alla felicità.